Armonia rinascimentale e meraviglia barocca
Abbazie e monasteri: non solo religione
All’imbocco della val Cavallina, pochi Km fuori Bergamo, il complesso abbaziale di S. Paolo d’Argon, così come molti altri situati in luoghi diversi della provincia, porta testimonianza dell’importanza che anticamente avevano i monasteri, non solo per la loro valenza religiosa, ma anche per l’importante funzione socio- economica che rivestivano nel territorio. In epoca medievale i monasteri possedevano beni e terreni in aree territoriali anche molto vaste, avevano cascine, mulini, spesso anche piccoli ospedali, a volte persino scuole. Come una sorta di azienda agricola, il monastero dava lavoro alla comunità circostante, utilizzando le risorse del territorio. Collocati di solito lungo le antiche strade di collegamento, erano luoghi di ricovero per pellegrini, di sosta per viaggiatori: qui a S. Paolo d’Argon, in periodo di dominazione veneta, spesso facevano tappa delegazioni politiche veneziane nei loro trasferimenti tra Venezia e Bergamo. Per questa loro ricchezza e importanza, i monasteri spesso diventavano anche piccoli centri di potere.
Qualche nota storica...
Il monastero di S. Paolo d’Argon sorse negli anni ottanta dell’undicesimo secolo come monastero benedettino cluniacense, per volere di Gisalberto IV, che donò per questo scopo terreni e beni all’Abbazia di Cluny. Dopo tre secoli di floridezza, a cui successe un periodo di decadenza per crisi generale dell’ordine benedettino, dalla fine del ‘400 il monastero divenne abbazia passando sotto la gestione della Congregazione di S. Giustina di Padova (denominata pochi anni dopo “Cassinese”). Da qui iniziò un periodo di grande sviluppo: fu tra le più ricche e importanti realtà monastiche della Lombardia, tanto che tra ‘500 e ‘700 gli abati fecero investimenti molto cospicui per il rifacimento e l’abbellimento sia del monastero che della chiesa, ingaggiando i più rinomati artisti dell’epoca. E così ci appaiono oggi monastero e chiesa: l’uno nella ristrutturazione cinquecentesca in forma rinascimentale, l’altra nella sontuosità del rifacimento barocco/rococò.
Nel periodo successivo non si registrarono eventi significativi riguardo alla chiesa e al complesso monastico fino a quando un’ordinanza di Napoleone del giugno 1797 non ne decretò la soppressione. I monaci dovettero trasferirsi nel cenobio confratello di Pontida e la chiesa divenne parrocchiale. L’abbazia decadde progressivamente e per tutto il diciannovesimo secolo fu casa colonica, fino alla rinascita novecentesca, quando il Vescovo la diede in uso al Patronato S. Vincenzo che, con una ristrutturazione e parziali modifiche, ne fece luogo di accoglienza e formazione per ragazzi e giovani; ruolo, questo, che continua a ricoprire , come sede dell’Istituto Tecnico Superiore della Fondazione Jobs Academy, che propone corsi specialistici post diploma in ambito economico e tecnologico.
...e qualche nota d’arte
Ora, come in origine, la vita di questo luogo ruota intorno ai due chiostri, ingranditi e splendidamente rifatti in epoca cinquecentesca, in marmo di Zandobbio con elementi decorativi in cotto, molto probabilmente sotto la guida del maggior architetto bergamasco del tempo: Pietro Isabello.
Più intimo e raccolto, il chiostro minore conserva la pavimentazione originale in marmo rosa di inizio ‘500, mentre l’attiguo chiostro maggiore, di due decenni successivo, conserva ancora al centro un bellissimo pozzo con, scolpita, la spada simbolo di S. Paolo.
Il chiostro, dal punto di vista funzionale elemento di comunicazione tra i vari ambienti del monastero, era soprattutto luogo di grande sacralità e valore simbolico: qui l’uomo poteva incontrare Dio attraverso la preghiera, la meditazione, la deambulazione, la lettura e la riflessione, spesso stimolato da affreschi a motivi religiosi.
La presenza del pozzo, oltre che avere una funzione pratica, era legata anche alla simbologia dell’acqua come fonte di vita, di purificazione e rinnovamento.
Il chiostro era spesso suddiviso in quattro parti da due vialetti perpendicolari e, grazie alla presenza dell’acqua, coltivato con aiuole fiorite e piante aromatiche, tanto da richiamare nell’immaginario medievale una sorta di Giardino dell’Eden, luogo di incontro tra uomo e Dio in una situazione di bellezza e di pace.
Tra i due refettori, attigui l’uno al chiostro minore e l’altro a quello maggiore, il più elegante è certamente il secondo, con un vestibolo di ingresso e una grande sala interna con camino, entrambi originariamente decorati con affreschi dei primi decenni del ‘600, successivamente ricoperti in parte con temi mitologici e paesaggistici ottocenteschi. Molto pregevole e ancora del tutto originaria la decorazione secentesca ad affresco del soffitto a volta ribassata: suddiviso in riquadri, vi sono raffigurate scene delle “Storie di Ester”, opera del pittore veronese G. B. Lorenzetti.
La chiesa
Dedicata alla Conversione di S. Paolo, e inizialmente costruita in stile romanico, contestualmente al monastero, fu completamente rifatta tra fine ‘600 e primi decenni del ‘700 in stile barocco/rococò, sontuoso e raffinato, ricco di colori, marmi e dorature. Progettista fu l’architetto luganese Domenico Messi, mentre l’aspetto decorativo fu affidato principalmente al pittore comasco Giulio Quaglio, coadiuvato dai migliori artisti dell’epoca, molti dei quali “foresti”, cioè provenienti da aree diverse ( Veneto, Bologna, Napoli) e già presenti in quegli anni sul territorio perché ingaggiati nei grandi cantieri di Bergamo per la decorazione del Duomo e il rifacimento barocco di S. Maria Maggiore, oltre che l’arricchimento della Cappella Colleoni. Di area bresciana, invece, gli artisti della rinomata famiglia Corbarelli, autori degli splendidi altari impreziositi da intarsi in marmi pregiati e pietre dure, e Santo Callegari il Vecchio, capostipite di una stimata famiglia di scultori bresciani, che qui arricchì gli altari di pregevoli statue in marmo di Carrara.
I monaci, insomma, non badarono a spese per fare di questa chiesa, attualmente chiesa parrocchiale del paese, una sorta di maestoso ed elegante palcoscenico per la spiritualità. Il lavoro si concluse nel 1735 con l’erezione del nuovo campanile, che affianca ciò che resta del precedente, costruito appena 60 anni prima.
Note
Le fotografie dell’articolo sono state in parte scattate de me e in parte scaricate dal web. Resto a disposizione qualora l’autore delle immagini desiderasse la citazione o eventualmente la rimozione.