Dal Lazzaretto all'Ospedale Papa Giovanni XXIII
Covid 19: la peste dei giorni nostri. Al di là di ogni fiducia in una raggiunta e consolidata sicurezza, una terrificante epidemia, anzi, pandemia, ci sta devastando. Bergamo in prima linea, con il suo ospedale, ora come nel passato si trova a fare i conti con la malattia e la morte. Il Lazzaretto e l’Ospedale Papa Giovanni 23°: due luoghi simbolo della storia della sofferenza a Bergamo.
Il Lazzaretto
Costruito tra il 1504 e il 1581 per volontà della Repubblica di Venezia, in un luogo periferico al di fuori delle Muraine, era stato realizzato per isolare gli ammalati di peste. Su modello di quello di Milano, aveva forma di quadrilatero (130 m. di lato) circondato da un portico, su cui si affacciavano 84 celle. Al centro, una cappella dedicata a S.Rocco e S.Sebastiano, demolita nel 1868.
Nei suoi cinque secoli di vita il Lazzaretto subì notevoli trasformazioni, a seguito di svariate destinazioni d’uso: ricovero per appestati prima e malati di colera poi, luogo di quarantena militare e prigione nel 18° secolo, destinato poi alla detenzione ed esecuzione dei prigionieri di guerra durante la Repubblica di Salò (la famigerata Caserma Seriate).
Dopo lunghi anni di degrado e di abbandono, da fine anni Sessanta il Lazzaretto fu gradualmente recuperato ed oggi ospita spazi associativi e istituzionali. Una delle antiche celle, la numero 65, è stata restaurata e affidata alla “Fondazione Bergamo nella storia” per farne un luogo della memoria. Inaugurata nel novembre 2010, mostra la struttura tipica originaria di queste celle, tutte con una finestra e una porticina, e all’interno un piccolo camino e un gabinetto. Nelle pareti, una nicchia con un acquaio e una sorta di armadio a muro con ripiani. Una videoinstallazione, con proiezione multimediale, racconta della peste del 1630, che provocò in soli cinque mesi 9533 morti in città e altri 47322 in provincia.
Come noto, i carri coi cadaveri provenienti dal Lazzaretto passavano da Porta S. Lorenzo per essere scaricati nel “fupù” della Fara, ma quello che non si nota è un’antica lapide, posta nel fornice della Porta e un po’ corrosa dal tempo, che ricorda la fine della pestilenza e il Capitano veneziano della città, Giovanni Antonio Zen, che nel periodo del contagio si adoperò in modo ammirevole per alleviare le sofferenze della popolazione.
L’Ospedale Papa Giovanni XXIII e la sua chiesa
Inaugurato nel 2012, l’Ospedale si propone come una struttura aperta costituita da 7 torri di 5 piani, unite a un’unica piastra centrale. Situato nella zona cosiddetta della Trucca, a sud ovest della città, in un’area con valenza ecologica e paesaggistica e in vista di Città Alta, vuole interpretare l’idea di un “ospedale nel verde”. L’idea di spazio verde, di luce e di natura si declina infatti in vario modo sia all’interno che all’esterno dell’ospedale, e anche nella chiesa, inaugurata due anni dopo.
Questa, ricca di luce enfatizzata dalle tonalità chiare e dall’effetto di leggerezza dei materiali, si avvale di opere d’arte contemporanea che rimandano visioni, variamente elaborate, di paesaggi ed elementi naturali. Come l’immagine di un tratto di arido paesaggio collinare (forse la collina del Golgota?) creato da Stefano Arienti e trasferito nel legno del portone centrale come un originale mosaico fatto di pieni e di vuoti. O i pannelli di rivestimento interni, in cemento trattato a graffito, in cui lo stesso artista propone un giardino mediterraneo (forse il giardino dell’Eden?). Fulcro della chiesa è la Crocefissione nell’abside, anzi, nelle tre absidi, interpretata da Andrea Mastrovito, e ambientata in un bosco ricco di vegetazione, un paesaggio in cui la morte di Cristo è inserita in un contesto di vita, tranquillo e rasserenante, e la figura di Papa Giovanni vi appare come consolatore delle sofferenze. La raffigurazione è realizzata con lastre di vetro intagliato montate a strati sovrapposti e si avvale di una tecnica di pittura antica, detta “a grisaglia”. Lo sfondo è oro, alternato al bianco.
L'Ospedale nel verde
Il bosco, come simbolo di vita e di rinascita, è tema anche di una recente iniziativa dedicata a tutte le vittime del covid: il “Bosco della memoria”, che sta sorgendo proprio qui, in un’area del Parco della Trucca adiacente all’ospedale di Bergamo, che con i suoi 670 morti in città e 6000 nella provincia, è città-simbolo dell’epidemia covid in Italia. Inaugurato dal Presidente del Consiglio Draghi il 18 marzo 2021 con la piantumazione di un tiglio, il “Bosco della memoria” sarà costituito da circa 850 tra alberi e arbusti: un luogo vivo di incontro e di formazione, segno visibile di positività e di speranza. Ma torniamo nell’area dell’ospedale, dove, a destra dell’entrata principale, un bonsai giapponese è incastonato in un blocco di marmo di Zandobbio. Simbolo delle piante che crescono sulla costa del mare o sui precipizi delle montagne: la natura resiste e si adatta al vento e alle condizioni più sfavorevoli. Come l’uomo, che pur nella sua fragilità può trovare la forza per resistere anche nelle condizioni più difficili e rimanere aggrappato alla vita. Un messaggio di speranza, coraggio e fiducia, per chi si trova in un luogo dove la vita può incontrare i suoi momenti più duri.
Note:
Le fotografie dell’articolo sono state in parte scattate da me e in parte scaricate dal web. Resto a disposizione qualora l’autore delle immagini desiderasse la citazione o eventualmente la rimozione.