Un museo da conoscere
Forse non tutti sanno che a Bergamo, con ingresso in piazza Cittadella, esiste un Museo Archeologico, visto che ancora c’è chi lo confonde con il Museo di Scienze Naturali. “È quello con il mammut?” è la domanda che mi lascia senza parole e suscita in me irritazione e sconforto. A me, appassionata e studiosa da decenni di archeologia e in particolare delle collezioni che provengono dagli scavi effettuati nel nostro territorio, pare impossibile che ci siano ancora bergamaschi che non conoscono il Civico Museo, dove si racconta, attraverso i reperti conservati, la nostra storia dal Neolitico all’ Altomedioevo. Ora il museo è chiuso per un’importante ristrutturazione, che alla fine lo renderà più fruibile, dotato di dispositivi multimediali, meglio organizzato e sicuramente più accattivante.
Il sarcofago e la mummia
Forse neppure tutti sanno che al Museo Archeologico di Bergamo sono conservati un sarcofago egizio con relativa mummia. Come e quando sono arrivati nella nostra città? Questa storia inizia nel 1885, quando il console d’Italia ad Alessandria d’Egitto Giovanni Venanzi, bergamasco, acquista un sarcofago egizio con mummia, provenienti dagli scavi di Luxor, e decide di donarli alla sua città d’origine. Oggi tutto ciò costituirebbe un grave reato penale, però a quel tempo le leggi consentivano o comunque tolleravano il commercio e l’esportazione dall’Egitto di reperti archeologici. Così sarcofago e mummia viaggiano su piroscafo fino al porto di Livorno e da qui, su ferrovia, fino a Bergamo. La Giunta Comunale delibera che vengano conservati nella Biblioteca Civica, dove restano fino al 1900, per essere poi trasferiti al Museo di storia Naturale. Dopo ulteriori spostamenti, nel 1964 i reperti entrano a far parte delle collezioni del Civico Museo Archeologico. Il sarcofago, in legno di cedro, datato tra X e IX sec. A.C., ha forma antropoide, cioè riproduce le sembianze del defunto, ed è costituito da cassa con coperchio, mentre un secondo coperchio poggiava direttamente sulla mummia. Tutti questi elementi sono decorati sull’intera superficie con coloratissime immagini ed iscrizioni in caratteri geroglifici, tipiche dell’ambito funerario egizio. Tra queste ultime, spiccano il nome ed il titolo del destinatario: Ankhekhonsu (“È vivo il dio Khonsu”), “sacerdote di Amon e scriba del granaio delle offerte divine del tempio di Amon”. Sul sarcofago compare anche il nome della moglie del defunto, Henutnofret (“La signora è bella”), definita “signora della casa” e “cantatrice di Amon-Ra”. Nel passato il sarcofago è stato sottoposto a restauro e la mummia studiata con un’indagine di carattere antropologico, volta a determinare l’identità del defunto. Dalle radiografie effettuate, si è visto che le ossa del tronco non sono più in connessione anatomica, a causa probabilmente di una violazione della tomba avvenuta in antico, per l’asportazione di eventuali amuleti ed oggetti preziosi deposti tra le bende durante l’imbalsamazione. Dopo il furto, il corpo è stato sommariamente ricoperto, ma l’esposizione all’aria ha interrotto il processo di mummificazione, per cui dalle radiografie risulta che ormai, più che di una mummia, si tratta in realtà di uno scheletro. In seguito agli studi effettuati, si può affermare che i resti appartengono ad un uomo di circa 70 anni, piuttosto alto e di costituzione minuta.
Un giallo da risolvere
Gli studiosi si sono posti ora una domanda: la mummia è veramente il corpo di Ankhekhonsu o appartiene ad uno sconosciuto? Potrebbe essere accaduto, infatti, che nel passato il sarcofago sia stato riutilizzato per una successiva sepoltura, o addirittura che la mummia sia stata introdotta ad arte, per rendere il reperto più interessante agli occhi di un possibile acquirente, come succedeva a volte nel XIX secolo. Fino a questo momento la domanda resta ancora senza una risposta certa, ma questa potrebbe arrivare da un prossimo restauro della mummia, previsto nell’ambito dei lavori di ristrutturazione del Museo, volto ad individuare il DNA del defunto, oltre a definire una datazione con metodo del radiocarbonio. Si potranno così aggiungere nuovi elementi di tipo antropologico a quelli che già conosciamo e scoprire finalmente se, dal punto di vista cronologico, i resti sono compatibili con il sarcofago. Inoltre, grazie alle nuove tecniche di ricostruzione, potremo forse conoscere anche il volto di Ankhekhonsu.
Note
Le fotografie dell’articolo sono state in parte scattate da me e in parte scaricate dal web. Resto a disposizione qualora l’autore delle immagini desiderasse la citazione o eventualmente la rimozione.