Cosa bolle in pentola...

Che c’è per cena? Polenta e pica sö!

21/09/2021

Quando un piatto poverissimo della tradizione diventa un modo di dire

Vi siete mai sentiti dare questa risposta quando chiedevate notizie sul pranzo oppure sulla cena? Quando ero piccola pensavo che fosse un modo di dire di mio padre per stroncare sul nascere un qualsiasi commento sul menu e lasciare avvolto in un alone di mistero quello che avremmo trovato nel piatto. Perché se la polenta era qualcosa di conosciuto e familiare che tutte le domeniche faceva bella mostra di sé sul tagliere al centro della tavola, pica sö, letteralmente “picchiare su” per me non voleva dire nulla, da mangiare per lo meno.
Ed effettivamente era pressoché nulla ciò che si ritrovavano nel piatto molte famiglie bergamasche in condizioni di estrema povertà: l’immancabile polenta e un’aringa affumicata o sotto sale, che scendeva, appesa ad una trave del soffitto al centro della tavola. Ognuno prendeva quindi una fetta di polenta e gli strofinava sopra un po’ d’aringa, così da insaporirla almeno un poco.

Tutto ciò è rappresentato benissimo nel film "Novecento", diretto nel 1976 da Bernardo Bertolucci, di cui vi propongo qui un breve spezzone. A partire dal min. 3.30 potrete vedere raccontata per immagini la scena che vi ho descritto.

Dal Film "Novecento" di Bernardo Bertolucci

L’aringa, un pesce di mare per le famiglie di Bergamo e non solo.

Avere a disposizione del pesce di mare in una zona come la nostra, così lontana dalle coste, era possibile grazie al processo di salatura o affumicatura che ne garantiva la conservazione e al tempo stesso un sapore deciso. Nel bel volume “La cucina bergamasca, dizionario Enciclopedico” a cura di Silvia Tropea Montagnosi ed edito da Bolis Edizioni, si spiega che per dissalare l’aringa era prima necessario avvolgerla in carta da zucchero e metterla poi sotto la cenere per un quarto d’ora circa, così da far staccare la pelle e il sale in eccesso. Per diverso tempo l’aringa ha dunque rappresentato una importante fonte proteica per ampie fasce di popolazione poco agiate che, anche in tempi piuttosto recenti soffriva di estrema malnutrizione. Si stima che negli anni ’20 del novecento in bergamasca si consumavano tra i 650 e i 700 quintali di aringhe e sardelle che venivano vendute al mercato conservate in barili di legno, i Barél de arèng. La tradizione di consumare l’aringa con la polenta non è tuttavia esclusivamente bergamasca. Anche in Veneto infatti Polenta e Renga era ed è un piatto piuttosto comune. Non è solo questo che abbiamo in comune con i nostri “cugini” veneti con i quali condividiamo un tratto piuttosto consistente della nostra storia, più di tre secoli, da quando Bergamo entrò a far parte del territorio della Serenissima Repubblica di Venezia nel 1428, fino alla sua dissoluzione nel 1797.

La polenta de melgòt: la base quasi esclusiva dell’alimentazione delle famiglie contadine

Polenta bergamasca con farina di mais

L’aringa era dunque una sorta di pretesto per cambiare un poco il sapore alla solita polenta di granturco che veniva consumata praticamente durante ogni pasto del giorno: a colazione con un po’ di latte, grappa, zucchero o noci; a pranzo e a cena con verdure, uova e raramente carne. Il consumo continuo di polenta, molto spesso senza companatico (per le condizioni di estrema povertà) portò alla diffusione di una malattia, la pellagra, dovuta alla carenza di vitamine. Ma cosa determinò il successo di questo cereale tanto de renderlo il re indiscusso di moltissime tavole bergamasche? Prima dell’arrivo in bergamasca del granturco dalla lontana America (sempre per tramite di Venezia) all’inizio del diciassettesimo secolo, si consumavano polente di ogni tipo, sin dalle epoche più lontane: polenta di farro, orzo, fave, miglio, ma anche di legumi. Si macinavano semplicemente questi ingredienti, si impastavano con un po’ d’acqua e si facevano cuocere. Il granturco tuttavia sbaragliò la concorrenza: l’alta produttività, il breve ciclo di coltura e la resa maggiore alla macina convinsero ben presto i contadini a riconvertire le loro coltivazioni a sfavore di miglio, segale e frumento e altri cereali e a consumarne sempre più, dato il suo grande potere saziante e l’ampia disponibilità. Ma come abbiamo visto la polenta da sola non era sufficiente a garantire una corretta e completa alimentazione con gravi conseguenze per la salute.
Oggi sarebbe improbabile consumare questo piatto come facevano i nostri nonni, con l’aringa appesa al soffitto (se l’appendeste al lampadario della cucina vi prenderebbero per matti!). Perché non provare allora una rivisitazione a base di triangoli di polenta e pezzettini d’aringa affumicata? La forma cambia, ma il sapore della tradizione resta!

Note

Le fotografie dell’articolo sono state scaricate dal web. Resto a disposizione qualora l’autore delle immagini desiderasse la citazione o eventualmente la rimozione.

Rossana Salvioni
La passione per la Storia dell’Arte e le bellezze artistiche del nostro paese mi ha sempre accompagnata sin dall’infanzia e mi ha portato ad approfondirne lo studio negli anni universitari a Milano, conseguendo la laurea magistrale in Storia e Critica dell’Arte nel 2009. Collaboro con l’Associazione Bergamo Su e Giù come guida abilitata in italiano e Spagnolo da gennaio 2016. Trovo questa che questa professione sia il modo migliore per condividere l’amore per Bergamo e la sua cultura con tutti, italiani e non, che desiderino Conoscere. Solo chi conosce, ama e apprezza. La mia aspirazione più grande è quindi riuscire a trasmettere la bellezza della Conoscenza del nostro territorio e mi dedico con costanza perché chi mi ascolti possa amarlo, come lo amo io.

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